Speciazioni - N°015

Un elogio del vuoto creativo e dell’errore, per restare marziani quanto basta a far entrare il nuovo.

Speciazioni - N°015

Settimana in tema con i pensieri che vado a raccontarvi. Si è parlato di futuro, di nuove iniziative, di creare ma anche di rallentare e ritrovare un ritmo.


Guardati bene, per un momento. Dove sei? Che pensieri hai? Che vita campi? Ma soprattutto: ti senti di appartenere a una specie, o ti senti un marziano?
«Marziano!», direte. Guardate fuori: a meno che non viviate immersi in madre natura, verrebbe da fare «sciò sciò» a questo mondo sgangherato e zoppicante. «Io lì non mi identifico!», mi dico spesso anch’io.

C’è un problema di fondo che mi tiene ancorato. Pensieri, tecnica e cultura generale sono andati troppo in là rispetto a dove dovrebbero essere. Questo scarto dal tempo naturale delle cose fa cadere le norme e i valori che riconoscevamo come validi. «Fantastico: ChatGPT adesso intrattiene mio figlio durante i viaggi in auto», leggo su LinkedIn. Genitori fieri di non esserlo più. Poi penso alle chiese vuote, alle famiglie svuotate di tradizioni e valori, alle grida dei padri che escono dalle case dei palazzi vicini.

Eppure sembra tutto normale.
Si sono indeboliti i nostri centri e i principi di autorità. Quelli rimasti tengono il posto con la forza, non con il cuore.

Quando tutto diventa normale, niente è diverso; niente stupisce, nulla attrae. Mancano i motivi per essere diversi. Il risultato è l’immobilità: nel comfort e nella sicurezza la ragione naviga senza stress.
«Ma come, Matte! Io non ne posso più del mio lavoro, di tornare a casa tardi con quattro soldi sul conto!» Vero. Eppure quel lavoro, quei quattro soldi e quel turbinio di palle ce li teniamo tutti almeno per un annetto, perché altrimenti sporca il CV.

La nostra mente, che lavori tanto quando c’è da fare e poco quando ci riposiamo, resta ancorata alla ragione. È diventata tecnica pure lei. La ragione ci porta, in fretta, agli obiettivi, e questo accresce l’autostima. Come fai a non stimarti? Saresti fuori di testa, no?

Come se non bastasse, a rafforzare l’idea che tutto sommato è meglio starsene schisci nel proprio, c’è una valanga di contenuti apocalittici: guai a pensare al domani. No no, meglio far perdurare le condizioni attuali, per sempre, e non spendere energia per immaginare un futuro diverso.

E se...?

Bastano due parole, però, per smontare tutto: «E se…?»
È una formula magica che crea un vuoto davanti a noi. Il pieno è noto, il vuoto no. Con il vuoto nasce smarrimento, timore, ma anche apertura. Nascono nuovi programmi, senza orizzonti ancora visibili, che lasciano una tela bianca all’immaginazione e alla creazione. Aprire le porte a un futuro diverso è una forma di generosità verso la specie: un dono, una novità.

E se… fossi stupido? Stupidus, in latino, viene da stupere: essere intontiti, raggelati. Diciamo «chi sta fermo», in sostanza: chi smette di farsi domande.
«Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la salverà» (Lc 17,33). Io la parafraso così: chi cerca di salvare la propria psiche, la perde; chi la perde, la genera.

Psiché in greco significa anima, vita, mente. Lo stupido vive in base a ciò che sa; di conseguenza modella la mente su certezze. Una mente così non può che limitare l’animo, la nostra idea più alta di noi stessi.

Chi sa, è perduto. Chi sa, assegna valore alle cose. Chi sa, dice:
il mondo
la verità
il lavoro
il Dio
la vita
il denaro.

Invece, gli «E se…?» dicono:
un mondo
una verità
un lavoro
un Dio
una vita

«Il» è stabilità; «un» è dinamica. È mettere alla prova ciò che fino a oggi sapevamo.
E ancora più forte: Io vs un Io.
«Io voglio, io penso…» diventa «una parte di me vuole», «una parte di me pensa». Cambia tutto, vero?

È la strada per evolvere: uscire dalla specie madre e gemmare altrove. Una liberazione, un contorsionismo per uscire dal noto e aprirsi all’ignoto, come se ci stessimo scartando, come una caramella.

Con l’ignoto arriveranno gli errori, ci mancherebbe. La paura di sbagliare è forte perché azzera la distanza dalle nostre convinzioni e dalle nostre conoscenze. Una distanza pari a zero cos’è, se non un abbraccio, caldo e sicuro, che ci fa addormentare sereni? Oppure è un limite da scavalcare?

Solo negli errori siamo noi stessi; solo negli errori abbiamo l’occasione di conoscerci, di sperimentare quel nuovo tanto desiderato. Nell’errore tutto diventa scoperta e coraggio.

Perderci per ritrovarci. È l’unico miracolo disponibile. E se per riuscirci servisse custodire il nostro essere marziani, quel piccolo sfasamento dall'ordinario che apre la porta al nuovo?


Cosa sto leggendo

Link belli

e basta... in queste settimane son stato parecchio offline :)

Subscribe to Sottocoperta (Matteo Petrani)

Don’t miss out on the latest issues. Sign up now to get access to the library of members-only issues.
jamie@example.com
Subscribe