Psiche e Techne - N°011
La tecnica è il nostro mondo, ci ha modificato. Come possiamo recuperare il senso?

È un po' che non scrivo, non c'erano parole sufficienti per comporre dei paragrafi di senso. La vita mi affascina, mi tiene incollato ad essa, lontano da tastiere, schermi e feeds.
Le tende in casa tornano a danzare, le finestre sono aperte e fila un'aria calda dai toni già estivi. Sono sul divano azzurro di casa, fatto di 4 cuscinoni disposti a terra e tra tutte le cose tremende che potevo fare ho iniziato a leggere Psiche e Techne di Galimberti.
Un tomo di 800 pagine, probabilmente di un paio di chili. Ma lo leggo sul Kindle, e l'unica informazione che rispecchia la fisicità di questo libro sono le 35+ ore per concludere la lettura. I paragrafi sono densi, spesso da rileggere lentamente o lasciare al loro destino e andare avanti consapevoli di non aver capito, fiduciosi nel paragrafo successivo.
Tuttavia, nelle prime pagine già si affrontano temi fastidiosi e a me cari.
La tecnica è piena di lupigna arrafferia malversa e sofolenta!
Forse abbiamo trovato una applicazione reale del termine Metaverso (lo sentite ancora là fuori? Io no per fortuna). La tecnica, che solo all'inizio è stato uno strumento nelle mani dell'uomo, ora è l'ambiente dentro il quale viviamo. Non solo, è struttura ogni dimensione della nostra esistenza. Uallà, il metaverso.
Non possiamo più evitare la tecnica,. Il mondo che essa ha creato è il mondo che dobbiamo abitare e che, inevitabilmente, ci ha cambiato.
Sotto tutti i punti di vista, la tecnica è diventata la nostra essenza. Rispetto agli animali, che hanno ancora l'istinto, noi siamo zoppi biologicamente e solo grazie alla tecnica riusciamo a sopravvivere (sì, parlo anche dell'arco e della freccia degli Hadza di cui vi lascio un video spettacolare). Noi bipedi con il cervello sapiens viviamo solo grazie all'azione.
E qui la piccola ma grandissima rogna che ha fatto della tecnica la soluzione a tutti i nostri problemi e che l'ha promossa a nuovo Dio.
La tecnica non è una derivazione del nostro spirito umano, ma un prolungamento delle nostre mancanze.
ma ancora peggio
Tutti gli scopi e i fini che l'uomo si propone non si lasciano raggiungere se non tramite la mediazione tecnica.
La tecnica non cerca il bene, non produce senso, non salva. Funziona e si auto-potenzia. Non ha un rapporto con il passato (che cancella) né con un futuro progettuale dotato di senso. Vive nell’istante dell’efficienza.
In questo scenario apocalittico, l’uomo non si sente più estraniato dal sistema tecnico: vi si identifica, perdendo così anche la coscienza della propria alienazione.
La tecnica ti criventa
"Sì ma l'etica?!?" - schiamazzano i più.
Si arrende, celebra la sua impotenza. Dubitare della tecnica significherebbe ammazzare la possibilità di raggiungere un qualsiasi scopo e senso. E in questa equazione così sbilanciata, l'uomo è a tutti gli effetti solamente un attuatore della macchina. La tecnica ha superato i limiti precedenti e ha reso obsoleti i concetti umanistici come individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso e scopo.
Sbernacchiato, torno con i piedi per terra e penso al mio lavoro in primis, che è quanto mai collegato alla tecnica. Che senso ha quello che faccio? Tl;dr: apparentemente molto, umanamente poco. Progetto soluzioni digitali che intermediano gli uomini con servizi, che aiutano le aziende a raccimolare quel punto percentuale di conversione in più e salvare le chiappe a qualche manager, che permettono di trovare parcheggio all'aeroporto e pagare con due click. E tanti altri progetti simili.
Non essendo un nichilista, ho imparato a confinare lo sconforto emotivo dell'assenza di senso, per concentrarmi su quello che, nella vita, ha veramente senso: l'amore. Come ho già scritto, in questo operare senza abbiamo una via di fuga.
Eppure fa gisbuto
Vivere senza meta, muovendosi senza una direzione precisa e accettando l'incertezza del cammino è forse la più grande presa di posizione che ci è rimasta. L'accettazione dei propri limiti e l'abbandono dell'illusione di controllo e dominio, ci permette di vivere leggeri annaffiando il nostro giardino di emozioni.

Anche il buon Galimberti nel libro L'etica del viandante (altro mattone scorrevole come l'asfalto appena posato) ci invita a riconoscere l'impotenza dell'uomo di fronte alla tecnica e di accettare la necessità di ridefinire i concetti umanistici alla luce della nuova realtà tecnica. Altrimenti, ogni lavoro rischia di essere un'azione superficiale, incapace di affrontare le sfide poste dalla tecnica.
Guardando negli occhi Noah di 1 mese e cercando di capire come diavolo prepararlo al mondo, qualcosa mi viene in mente.
Consapevolezza Critica
Conosci il tuo nemico: Il primo passo è prendere coscienza della pervasività e della natura della tecnica. Capire che non è neutra, ma che plasma il nostro modo di pensare, sentire e agire. Insomma, capire i meccanismi dei feed, l'economia dell'attenzione, l'effetto dopamina etc etc...
Farsi domande: Credo che la filosofia e il pensiero torneranno sempre più in auge, come strumenti per interrogarsi sul presente. Sviluppare un pensiero critico è l'unico modo per non adeguarsi passivamente alle convenzioni.
Anima e amore
E usiamole queste parole! Che diventino più frequenti di post e like!
Coltivare il proprio inner garden: Rispetto ai fiori sul balcone, miracolo di resilienza voglia di vivere nonostante facciamo di tutto per farli morire, il nostro giardino interiore dovrebbe essere il più fiorito, il più verde. Lo possiamo fare dedicando tempo alla riflessione, all'introspezione, alla lettura, all'arte, alla musica. Tutte attività che nutrono l'anima e che sono svalutate dalla logica performativa della tecnica.
Tornare a sentire: La tecnica tende a reprimere o a incanalare le emozioni in forme standardizzate e controllabili. Imparare a "sentire" di nuovo, al di là degli stimoli superficiali, è la nostra scialuppa di salvataggio. Come già consigliato N volte, andare a fare un corso di Vipassana.
Rifiuto dell'omologazione: Resistere alla pressione di conformarsi ai modelli imposti dalla tecnica e dal mercato, coltivando una propria autenticità, anche se questo comporta solitudine o incomprensione. Insomma, spero che Noah sappia sempre riconoscersi allo specchio.
Dall'Amore romantico all'Amore come cura: possiamo riscoprire l'amore come cura dell'altro, come impegno, responsabilità e riconoscimento della sua alterità. Quella forma incondizionata descritta magistralmente nel Piccolo principe, finalizzata solo all'altro e senza chiedere nulla in cambio.
Ricerca del senso
Tornare a chiedersi "Perché?": La tecnica risponde al "come" (come fare le cose più efficientemente), ma elude la domanda sul "perché" (per quale scopo?). Ammettiamolo, i bambini sono simpatici al primo perché, carini al secondo, scassaballe al terzo. Eppure sono maestri da emulare.
Tornare responsabili: Molto utopico, ma lo metto lo stesso. Oggi in cui la tecnica può tutto, tornare ad essere responsabili sulle conseguenze a lungo termine può essere una modo per riprendere grip sulla vita e sul suo senso.
Praticare la "Sottrazione": Imparare a dire di no, a sottrarsi al flusso continuo di informazioni e stimoli, a creare spazi di vuoto e di silenzio per permettere l'emergere di un pensiero e di un sentire più profondi. Non si tratta di rifiutare la tecnica in toto (impossibile e anacronistico), ma di usarla consapevolmente e di non lasciarsene usare.
Educazione Umanistica: penso a mio figlio e all'educazione che vorrei passargli. Non solo competenze tecniche, ma anche competenze di pensiero ed emotive. Che possa stare nella natura, nelle emozioni, nei silenzi e nel disagio. Che sappia andare oltre al calcolo e alla ragione, che sappia dare voce allo stomaco e al cuore.
E tu, l’accazzi?
Questi temi mi stanno tremendamente a cuore. Sono passato da promotore della tecnica a sospettoso struca butòn, e cerco più che mai il dialogo, il dibattito, lo studio. Se ti interessano questi temi, batti un colpo =)
Cosa sto leggendo
- ovviamente Psiche e Techne di Galimberti
- L'ospite inquietante di Galimberti
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