Life Stonks e ATH- N°013

Crescere è l'unico modo che ci hanno insegnato per vivere. Sicuri che non sia un mezzo inganno per mascherare una fuga?

È un po' che non scrivo. Le due ore abbondanti per partorire un pezzo sono state volutamente impegnate in famiglia, ad osservarci e sorriderci. Può capitare :)


È il 2025, e tutto deve crescere. Follower, like, view. Il progresso, la tecnica, il numero di parametri dell'ennesimo LLM. Le amicizie, l'amore per il partner, la famiglia. Nonostante la shrinkflation diffusa (magheggio per far crescere le revenues), sembra non esserci altra strada che crescere. PROVOPRURITO.

Sono cresciuto in aziende che "dobbiamo fare +20% il prossimo anno, altrimenti si muore", eppure si sta bene anche oggi. È necessariamente un male, dopotutto, morire? Perchè finire nel bidone dell'umido fa così paura?

L'altro giorno mi sono imbattuto in una riflessione di Joseph Campbell, uno che due righe sui miti le ha scritte, e racconta:

"Solo la nascita può vincere la morte – la nascita di qualcosa di nuovo. Per poter sopravvivere, deve verificarsi nell’anima, nel corpo sociale, una 'nascita continua' che annulli l’incessante opera della morte".

"Una nascita continua", non una crescita continua, ma una rinascita. Un po' come quando ci svegliamo ogni mattina insomma.

Parlando di miti si apre un mondo, che altro non è che un riflesso degli dèi che adoriamo. Ricorderete da qualche libro delle superiori che c'è stata un'epoca omerica in cui gli dèi erano l'incarnazione dell'unità del tutto, del fatto che gli opposti non solo coesistono ma si tengono per mano: vita e morte, forza e fragilità, luce e ombra. Un duetto che muoveva l'universo. E i miti? Beh, lo scaltro Ulisse, il bellicoso Achille erano eroi sì, ma con tutte le loro crepe umane ben in vista. Mossi dalle mani degli dèi, ogni loro azione era giustificata e giustificabile, perchè manifestazione del divino progetto che incarnavano. Meraviglioso. Tutto era lecito, tutto era sacro. In quei tempi, il concetto alla base di tutto era la rinascita: dalla morte spunta la vita, dall'appassimento una nuova fioritura. Eravamo parte di un ciclo dove dèi e natura dettavano le leggi, non noi.

E nel post-omerico? Embrace immortality. Gli dèi sono diventati strumento per dividere: da una parte il divino, il buono, il giusto; dall'altra il demoniaco, il brutto, il cattivo. La lavagna con una riga in mezzo quando la prof si assenta: da una parte i buoni, dall'altra i cattivi.

I miti, di conseguenza, sono cambiati. Sono spuntati i mondi-oltre-il-mondo, dal paradiso al metaverso, approdi sicuri contro la sofferenza del reale. Abbiamo plasmato nuovi supereroi con l'aureola, figure immacolate che ci insegnano ad aspettare il miracolo della vita eterna in un continuo perfezionamento di noi stessi sino al giudizio finale. E il concetto sottostante a tutto è diventato la crescita. Viva la vita! Sciò sciò alla morte. Vincere, vincere, vincere e guai a finire tra gli sconfitti. La razionalità, l'identità, l'Io con la "I" maiuscola a dominare su tutto, mondo compreso.

Esatto, è la nostra epoca.

Tutto, ma proprio tutto, deve crescere per farci sentire realizzati. Ma la crescita, se ci pensate bene, presuppone una fuga costante da ciò che ci lasciamo alle spalle. Deve crescere ciò che è misurabile e anche quello che non ha scala: la sindrome da crescita colpisce anche le relazioni. Quante coppie si ritrovano a chiedersi "Dove stiamo andando? Perché non stiamo incrementandoci?", manifestando quel disagio tipico di chi vive sotto l'incantesimo del dio post-omerico della crescita.

Ok cowboy, crescere è fondamentale sotto mille aspetti e ci fa vivere oggettivamente meglio. Il vero problema è che la crescita imperitura non esiste. È un mito, appunto. Un mito che tradisce un orrore profondo, quasi infantile, per la mortalità. Tutta questa smania di amortalità, di longevità a tutti i costi, di nasi finti e labbra sformate, di augmented reality, sono i sintomi di un'epoca che non sa fare i conti con la propria ombra. Ogni crepa, ogni paura, viene prontamente ricoperta da una mano di vernice fresca di entusiasmo per la novità. Ogni anno è il best yet, guai altrimenti.

Non sappiamo che farcene del dolore, della morte, della sconfitta. Non riusciamo a dargli un ruolo, un significato. E quindi? E quindi si cresce, si corre, in una fuga perenne verso una terra promessa che, temo, non esista.

Viktor Frankl, uno che il dolore l'aveva conosciuto da vicino nei lager nazisti, ci ha lasciato una lezione potentissima:

"Qualora il destino concreto infligga all’uomo un dolore, egli dovrà vedere anche nel dolore un compito".

Essere presenti nel proprio dolore, non fuggirlo, dargli un senso. New Age vero?

Mi domando quando (più che se) sarà il momento di parlare di morte e dolore a Noah. Chissà quando sarà in grado di vederci rinascita e vita. Quando saprà ricordarmi che l'intrattenimento e lo svago sono solo una fuga sul posto. Gli racconterò una poesia di Borges, "Giovanni, 1, 14", per dargli la forza di stare. Riscrive l'inizio del Vangelo di Giovanni, ma fa parlare Dio in prima persona e se ne esce con un verso che mi ha colpito:

"A volte penso con nostalgia / all’odore di quella bottega di falegname".

L'odore della bottega di Giuseppe. l'Onnipotente ha nostalgia di un dettaglio così banale, così umano.

Borges ci sta dicendo "Bella zì, guardate che la normalità della vostra vita, quella fatta di odori, di gesti ripetuti, di insicurezze, di morte e limiti è l'invidia di Dio!". Già, la stessa normalità che noi, accecati dalla crescita, abbiamo cercato di fuggire. E questo ha conseguenze concrete, come lo scontro generazionale – chi invecchia non lascia spazio – o la crisi demografica. Se pensi di vivere per sempre, o ti illudi di poterlo fare grazie a qualche mirabolante tecnologia, perché dovresti mettere al mondo figli, che ti ricorderanno inevitabilmente che il tuo tempo sta per finire e che qualcun altro prenderà il tuo posto? Meglio investire su di sé, sul proprio benessere, sulla propria (illusoria) longevità.

E dunque, quale miglior momento per mettere il naso fuori da questa corrente che ci trascina via? Quale miglior momento per fermarsi, fare amicizia con le nostre morti e camminare consapevoli che la meta esiste, è certa e l'abbracceremo tutti? Quale miglior momento per guardare in faccia la vita, da fermi, senza crescere necessariamente?


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