Porte sbattute, calci in culo e vele a segno - N°007

Come la vita in barca, e qualche altra astuzia, mi ha fatto galleggiare nelle burrasche.

Porte sbattute, calci in culo e vele a segno - N°007
Io, felice

Questa edizione è diversa dalle precedenti, si parla di vita, si parla di cambiamenti. Di ancore, di mare, di barche a vela e di burrasche.

Mi avete chiesto in tanti di parlare del significato del vivere in barca. Se vi piacciono questi temi, fatemelo sapere. Se non vi piacciono, fatemelo sapere lo stesso.


Giugno 2021. Sono sul pianerottolo e guardo la porta di casa. È chiusa. In verità, è stata appena sbattuta. Davanti ai miei piedi ci sono sacchi neri con i miei vestiti dentro. In tasca ho le chiavi della barca. In testa, la più grande confusione.

Avete mai notato che nei momenti più stressanti il nostro cervello mette il pilota automatico e sa esattamente cosa fare? Potrebbe innescarsi la fight-or-flight response, una reazione fisiologica che, di fronte al pericolo, ci prepara a combattere o a scappare. Oppure il cervello si dissocia: un meccanismo di difesa che ci disconnette parzialmente da una realtà difficile, affidandosi a reazioni istintive, senza un vero coinvolgimento cosciente. Come fosse stato un parto, non ho ricordi lucidi di quel momento.

Salgo in macchina e guido lentamente fino alla darsena. Scendo, cammino sul pontile fino a Ulisse. «Sarai la mia nuova casa», dissi, dandogli due pacche sulla poppa. Nonostante conosca ogni sua fibra di vetroresina, ogni bullone, ogni rumore, pensare che da ora quei 10 mq sarebbero diventati casa mi sembrava uno scenario decisamente buffo.

L’accettazione

Tutto quello che succede è perfetto per noi.

Ci sono tante fughe mascherate da partenze: i feed pieni di foto di van e laptop in spiaggia testimoniano un’escapologia moderna che poco ha a che fare con l’amore per l’avventura o la scoperta. Nel mio caso, non avevo bisogno di partire, ma di stare. Ormeggiato nel silenzio di una darsena, con una routine ancora da sistemare e un lavoro di accettazione profonda da iniziare.

La barca mi insegna a stare: quando si naviga, nel migliore dei casi, si viaggia non più veloce di un maratoneta. Non c’è via di fuga, se non la pazienza, l’attenzione e il prevenire le sciagure. Si sta, onda dopo onda, con quello che il mare offre in quel momento. Navigare è una scuola che auguro a tutti: specialmente a chi soffre di mal di mare, a chi non sa stare fermo, a chi patisce gli spazi stretti. Poche cose sono educative come accettare che, a volte, non esiste alternativa.

In questa nuova situazione – invidiata da colleghi e amici che esclamavano «Wow, ma vivi in barcaaa?» – ho scelto di muovermi leggero e tornare quanto più possibile vicino alla natura. In barca sono rimasto con uno smartphone, un laptop, una macchina fotografica e pochi vestiti. Un’auto parcheggiata e una bicicletta arrugginita. Ho preso contatto con la temperatura esterna, col sole e la pioggia, col giorno e la notte. Non avevo più contratti, nessuna utenza. Due pannelli solari bastano per alimentare i miei dispositivi e 150 litri d’acqua coprono una settimana. Era tutto quello di cui avevo bisogno per vivere.

C’era però ancora una cosa che mi teneva ancorato a terra: una certezza, una carezza, una catena. Un lavoro ben pagato in Svizzera.

Libero

I soldi non sono mai stati un problema, eppure lo sono sempre stati. Non ho mai controllato un estratto conto: avevo sufficiente consapevolezza di quanto spendevo e guadagnavo per non dover fare i conti a fine mese. È semplice raggiungere questa serenità finanziaria: basta sapersi ascoltare.

Tre quarti delle cose che desideriamo – quelle del «la mia vita sarà migliore se ho...» – non servono. Non solo non servono, ma diventano presto un peso, fisico e mentale. La dopamina post-acquisto dura quanto? Boh, poche ore? Al massimo qualche giorno. Per i guadagni, vale lo stesso. Ascoltarsi serve non solo a capire se il nostro valore professionale è riconosciuto, ma anche a scoprire se siamo fatti per accumulare beni o no. E ad accettare questa predisposizione. Su questo tornerò in futuro: oggi, nell’era della tecnica e del «move fast and break things», l’aspetto monetario della nostra vita è fin troppo radicale.

Negli anni, però, sono stato bravissimo a infilarmi in un vicolo cieco: uno stipendio alto in un’azienda sempre più tossica. La serenità di pagare il velaio senza pensarci due volte mi incatenava a una scrivania (o dovrei dire tavolo da carteggio?) da cui non volevo allontanarmi.

Si dice che il marinaio migliore sia quello che decide di rimanere in porto quando fuori c’è la tempesta. Ma per saperlo, quella tempesta, su qualche barca l’ha sicuramente vissuta. Io non ho mai navigato nella tempesta, né in mare né nella vita. Sono stato bravissimo a restarmene ormeggiato nella mia comfort bay, leggendo le esperienze di chi la bufera l’ha vista con i propri occhi.

Finché l’universo mi ci ha catapultato a calci. Licenziato dall’oggi al domani.

L’unico rimpianto è non essere stato io l’artefice del primo giorno più leggero e libero della mia vita.

Davanti solo le onde

Di fatto, la mia vita ha messo un punto e tirato una riga. Le ho chiesto: «Vita mia, sei sicura?» E mi ha risposto con la brezza del mare, nuove amicizie, uscite in SUP, cene all’ancora, navigazioni tra le isole, nuove relazioni professionali, progetti in mare. Mi ha fatto conoscere Francesca e scoprire che si può vivere davvero liberi, anche con i doveri di un padre di famiglia.

Riuscendoci a periodi alterni, quando lascio fare alla vita, le cose vanno sempre come dovrebbero. Nelle sciagure, nelle fortune. È tutto tremendamente come me lo sarei dovuto aspettare, ma che non avrei mai saputo immaginare.

Per chiudere, guarda il mare: è semplice, nonostante sia fatto di 4,5 × 10⁴⁶ molecole d’acqua. La vita non è uguale? Un gigalione di possibilità diverse che si concretizzano in un’unica storia. E poi: la barca naviga bene quando le vele sono a segno, le cime in ordine, e si rispetta il mare. Vedete l’analogia? La vita fila liscia quando le radici del nostro pensare sono ben alimentate, quando il nostro agire rispetta i limiti della natura. Dalla mia esperienza, il modo migliore è mettersi nella condizione di vedere tutta questa semplicità e innamorarsene.

Trovate la vostra Ulisse, trovate la vostra Francesca. Lasciate gli ormeggi e regolate bene le vele: arriverete sulle terre che vi appartengono.


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