La bussola senza nord - N°008
Lasciarsi alla deriva, un modo semplice per continuare a meravigliarsi.

In attesa che Noah venga a governare la sua arca, festeggio la mia prima festa del papà, tra meditazioni mattutine e preghiere serali.
Il giorno che ho smesso di fissare la bussola, il mare mi ha sbattuto sulle isole più belle. Mi sento più mago che marinaio, e questa è la storia di come ho lasciato andare e ho trovato tutto. Una storia che potrebbe essere anche la tua.
Direzioni
Pensavo che la bussola fosse la mia salvezza, un ago che mi avrebbe portato alla meta mentre il tempo continua a scorrere. Che illuso. Darmi una direzione, che sia navigando in mare o nella vita, non sempre è stata la cosa migliore. Ora, senza aprire il vaso di pandora di quelli che “il viaggio è più importante della meta”, l’amara verità è che scegliere la direzione di ogni passo ci avvicina sì ad una meta ma ci preclude la possibilità di percorrere altre strade. Questo definisce il nostro passato e modifica le traiettorie del nostro futuro. È anche vero che, in linea di massima, tutti noi nasciamo “maghi”: veniamo al mondo come una lavagna bianca, eventualmente macchiata da qualche eredità del nostro albero genealogico o dal nostro Genius Loci, ma tendenzialmente abbiamo un grandissimo spazio per disegnare la vita che desideriamo. Siamo una barca in mezzo al Mediterraneo, pronti a navigare per diverse miglia ma con dei confini e isole facilmente raggiungibili. C’è anche una via di fuga, lo stretto di Gibilterra che, schivando le orche (i nostri demoni), possiamo attraversare per essere catapultati in tutt’altro mare (o vita).
Ho sempre navigato in sicurezza, vivevo di waypoint in waypoint, con un GPS dentro il cranio. I miei “vorrei” diventavano azione, l’azione risultato. Di sicuro ho avuto venti favorevoli, riconosco di essere stato fortunato in infinite situazioni, e questo ha ulteriormente viziato il mio raggiungere traguardi. A 20-21 anni avevo la rotta chiara, correvo su una pista di obiettivi che raggiungevo uno dopo l’altro: lavoro, viaggi, esperienze. Dentro però mancava qualcosa. L’intuito? Massacrato. La creatività? A fondo. Who cares, giusto? Gli impatti prima che su di me sono arrivati sugli altri: amici, partner, famiglia. Sono diventato sempre più un lupo solitario ed è un'indole che ancora mi porto dentro. Avevo tutto, ma "ero" sempre meno.
Affondare e riemergere
Nel 2017 il primo stop, quando dopo 13 meeting con innumerevoli persone diverse, all’ultima intervista con Google mi han detto “grazie ma no”. Sfuma il futuro che, all’epoca, desideravo: trasferirmi a Zurigo, in una città sicura, multiculturale, con margine di carriera e la natura a due passi. A seguire, un lento raffreddarsi della mia motivazione, specialmente quella lavorativa. Iniziano degli anni di Job hopping per strappare uno stipendio migliore, spaccavo la routine volando sulle Alpi in aliante e il cassetto dei sogni iniziava a riempirsi velocemente.
Fast forward di qualche anno, atterro in Romagna e qui le cose cambiano radicalmente. Nel giro di poco mi trovo a vivere a bordo di Ulisse con ben due bussole magnetiche, un Chart Plotter e un VHF (la radio) tutti ad indicare il nord. Eppure qualcosa esplode. Prima arriva un libro, The universe has your back: divorato sul kindle, mi ha completamente ribaltato il modo in cui pensavo al caso, al destino. Già da tempo, in maniera del tutto naturale, avevo sviluppato quel gut feeling che mi accompagna di giorno in giorno nelle scelte, ma non sapevo dargli il giusto peso prima di ogni decisione. Vipassana poi mi dà il colpo di grazia: 10 giorni di silenzio totale senza nessun dogma, indispensabili per arrivare a vedere meglio la realtà e capire come funziona.
E lì, tra le onde, il cuore riprende a scaldarsi. È arrivato il momento in cui ho semplicemente lasciato il timone, per vedere dove la corrente mi avrebbe portato.
E il mare?
Il mare in questi anni è stato il fattore comune che ha bagnato irrimediabilmente le mie giornate. “Chi si bagna di acqua salata non si asciuga più” leggo spesso, e, almeno per me, è stato esattamente così.
Il mare è uno spazio dove giocare con sé stessi e con la natura. Una superficie dove le intenzioni programmate su un tavolo da carteggio diventano solo una suggestione, da mettere a sistema con forze più grandi di quelle che possiamo controllare. Se avete l’occasione di mettervi al timone di una barca a vela per esempio, farete presto esperienza di come gli input che date al timone sono solo un invito alla barca ad andare in una certa direzione. Dovete scendere a compromessi con le onde e con i venti e ritrattare la rotta, scegliendo una nuova prua che soddisfi tutti. Ogni volta che timono è un momento di umiltà, di ridimensionamento totale. Io, con Ulisse, mi sento un niente e al tempo stesso un miracolo. Lo sanno bene i miei occhi: lucidi quando in baia fissano la via lattea di notte, spalancati e impauriti quando mi tuffo in centro Adriatico per vedere i raggi del sole scendere in profondità fino a diventare buio.
Lasciare andare la barca, fidandosi della sua fisica, è un modo moderno di dire “mi fido”. Mi fido della natura, del tempo, del mondo animale, di mè stesso. Navigare a vista, senza farsi male ovvio, è un modo di affermarsi liberi e in ascolto con sé stessi e con tutto quello che ci circonda.
E tu? Quand’è che hai lasciato andare l’ultima volta, che hai urlato alla vita di prenderti? Scrivimi, raccontami dove sei andato alla deriva. O sali su Ulisse: le onde ci aspettano.
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